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Ambiente e sostenibilità

Microplastiche – La Dieta di plastica che mangiamo senza saperlo

Acque contaminate da microplastiche che possono finire nei pesci che poi mangiamo direttamente.

La plastica è ovunque e la mangiamo anche noi. Le microplastiche sono nell’acqua, nell’aria, in tutti gli oggetti che acquistiamo, anche negli alimenti. Si fa davvero molta fatica a crederlo ma, gli studi dicono che le quantità di microplastiche inserite inconsapevolmente nelle nostre diete, sono di 5 g a settimana e 21 g circa al mese.

È l’Università di Sidney che inizia il campionamento delle quantità di plastiche residue presenti nei cibi e nelle bevande. Nel 2014 in Germania si analizzano 10 campioni di birre alcoliche e analcoliche fra le più diffuse. Poco dopo anche gli USA effettuano le analisi su 12 birre locali di largo consumo. Si ricercano residui di fibre plastiche e microplastiche. Stessa cosa per le acque vendute in bottiglie di plastica.

Dai risultati, l’università di New York (negli Stati Uniti), trova in tutte le bottiglie considerate, oltre 200 elementi di microplastiche. In particolare, è il Polipropilene (PP) che si trova, usato anche solo come materiale per fare i tappi. Viene trasformato facilmente e diventa praticamente tutto, dai giocattoli per bambini ai vasetti degli yogurt. È presente anche il nylon, le cui fibre in media, hanno lo spessore di un capello umano. 

Nei laboratori, si scopre che si trova soprattutto nelle bevande artificiali come quelle gassate, i tè freddi, e nell’intera categoria di liquidi figli dell’industria chimica e artificiale. Tutte le marche hanno le microplastiche, ma in diverse quantità.

Microplastiche: valori limite

Sappiamo che gli standard di qualità americani, non sempre possono essere un modello da seguire, soprattutto in Italia, se si parla di ambito alimentare.

Ma quali sono i valori limite da considerare in Europa? Ebbene, in Europa, non c’è nessuna normativa che stabilisce i valori soglia per garantire la tutela della salute.

Tutti giriamo con una bottiglietta di acqua in tasca, o se non l’abbiamo la possiamo acquistare ovunque. Questa sana abitudine che mantiene l’organismo idratato, a volte non considera il rovescio della medaglia. Perché c’è sempre il lato nero dell’industria.

Perché il business della bottiglietta di plastica, in Italia, è più forte che nel resto d’Europa (e del mondo). Qui non si vuole considerare il lato sanitario della questione. E di questioni, legate all’acqua in bottiglia, ce ne sono davvero molte.

Tanto per cominciare, le acque dei rubinetti sono regolarmente controllate secondo rigidi standard. Questo in generale. Ovvio che le acque possono variare molto anche nella stessa città, e in passato come in futuro, possono esserci contaminazioni di tutti i tubi (soprattutto da quelli vecchi o di vecchi edifici), dai residui rilasciati dalle vecchie tubature alla presenza di metalli pesanti in alcune aree. Ma il sicuro e certo non esiste.

Le bottiglie rilasciano i residui di plastica. A volte sono troppo dure o pesanti. Ci sarebbe da parlare dei livelli di radioattività di alcune acque naturali, delle analisi delle etichette, ma anche dell’enorme impatto ambientale sulla Terra e negli oceani, per il danno sulla salute di pesci, animali e uomo. Ci pensiamo mai a queste cose?

Microplastiche nella cosmetica

Ma torniamo alla normativa. Tutti sanno che ci sono. Ma l’ingestione di plastiche e i residui presenti nel nostro organismo non fanno parte dei protocolli sanitari ne di analisi e, l’ingestione di plastiche non ha prove di tossicità. Un po’ più accorta, è la normativa in ambito cosmetico. Si tratta di una vasta varietà di molecole chimiche e materiali di ogni genere, quasi tutte di derivazione dal petrolio (come ogni cosa prodotta sul pianeta, del resto). Sono vietate le microplastiche nei cosmetici, nei prodotti di bellezza e per la cura del nostro corpo. Si tratta di creme, scrub, dentifrici, saponi abrasivi o sfere esfolianti. Bandite le microplastiche proprio dal gennaio 2020 almeno in Italia. Ma le scorte possono essere smaltite.

Le plastiche sono concesse in forma liquida come polietilene con alluminio per rossetti e glitter. Il polietilene occupa circa il 40% della plastica utilizzata nella produzione mondiale delle plastiche. È molto resistente agli agenti chimici, non assorbe acqua ne altri liquidi. È ampiamente usato nel confezionamento dell’industria alimentare proprio perché è resistente anche ad alcune soluzioni acide, benzina, alcoli ed altro. Da qui poi, si entrerebbe nel campo dei Metalli pesanti e del bio-accumulo nel corpo umano con tutte le conseguenze dirette sulla salute. Sono 500 miliardi di euro all’anno, il fatturato della cosmetica. L’uso intenzionale e l’inserimento delle plastiche è ovunque: fertilizzanti, detergenti, vernici e nell’industria petrolifera che occupa il 90% circa della produzione mondiale di tutto. Di tutto, perché quasi tutto è un prodotto di derivazione del greggio. Queste plastiche poi, finiscono sempre nello stesso posto. Finiscono nei fiumi, nell’acqua del rubinetto, nella pancia dei pesci, in quella dell’uomo, dei cetacei, nel collo delle tartarughe e pure degli uccelli. Si, perché insieme a migliaia di specie coinvolte,  gli Albatros del Pacifico muoiono. Nelle acque, ci sono le nostre discariche a cielo aperto che nessuno vede. E nessuno si preoccupa. Ci sono le nostre isole di plastiche ammassate, compatte e vaganti per mari e oceani, uniti alle plastiche libere di ogni dimensione. Sono i nostri rifiuti. Proprio quelli che mangiano i pulcini di albatros. Non vanno a mangiare la plastica di proposito ma seguono l’odore delle loro prede naturali. Peccato che, insieme agli odori delle prede ci sia la plastica che non viene riconosciuta da loro. Non la conoscono, non la capiscono. Un po’ come coi con il Covid-19. Il pensiero è angosciante. Ma se occhio non vede e cuore non duole, fa comodo a tutti fare finta di niente. 

Inquinanti e POPS

Se si effettua un filtraggio sull’acqua di mare, si osservano oggetti e frammenti che restano nell’apparato digerente dei pesci, degli organismi acquatici e nelle loro carni. Carni, cioè filetti di pesce, che poi mangiamo nella nostra dieta. Si trova idrossido di potassio in scaglie nei loro stomaci. Restano gli oggetti che la biologia non degrada. Si torna agli xenobiotici, quei prodotti, molecole o materiali che non hanno un ciclo biologico. Che la natura ne i suoi esseri viventi possono metabolizzare ne degradare. Non esistono processi in natura che possano portare ad estinguere quello xenobiotico. Parliamo della plastica. Trasporta veleni che non si degradano, i POPS. I POPS (Persistent Organic Pollutants) sono gli inquinanti organici persistenti. Sono particolarmente tossici per tutte le forme di vita e, in particolari per gli animali e l’uomo a causa delle loro caratteristica di essere liposolubili, cioè, si accumulano nei grassi e si riscontrano poi i residui. La lunga persistenza nell’ambiente è un fatto grave perché la sostanza xenobiotica si accumula sempre più in concentrazioni elevate e danneggia gli ecosistemi terrestri e acquatici. Con xenobiotico, ricordiamo che si intendono sostanze che non vengono usate, modificate, degradate o metabolizzate nei processi naturali o per effetto di microrganismi o altri esseri viventi. Il problema di queste sostanze è appunto quello di non entrare nei cicli naturali dove tutto si converte e viene utilizzato ma restano lì, accumulati ad arrecare danno. E non si smaltiscono.   

La questione riguarda anche gli inquinanti che si attaccano e si legano alle plastiche e producono gravi effetti sulla fisiologia di chi ne viene a contatto e li mangia. E’ il concetto di dose che fa il veleno. Ma troppo spesso, non si indaga sulla somma dei veleni, non si considera la quantità assunta, al giorno, come somma ti tutto. Sono almeno 30.000 le sostanze chimiche in circolazione che finiscono nei fiumi e nei mari. E non ne abbiamo nessuna percezione ma, a risentirne è l’intero pianeta. Tutti gli elementi naturali: terra, acqua e aria, tutte le forme di vita animali e vegetali, e chi sta in fondo alla catena trofica, l’ultimo predatore in testa alla catena alimentare: l’uomo. Che poi, è sempre la causa di tutto. 

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2 risposte su “Microplastiche – La Dieta di plastica che mangiamo senza saperlo”

Molto interessante, bisogna essere consapevoli delle nostre scelte negli acquisti per poter influenzare la produzione di imballaggi e anche di prodotti come i cosmetici. Se si è consapevoli nell’acquisto di beni e si fanno scelte più ecologiche si può cominciare ad influenzare le scelte dei produttori.
BELL’ARTICOLO, complimenti.

Gentile Rita, siamo lieti che l’articolo ti sia piaciuto. Pare che il mondo della cosmetica sia di tuo interesse. Avremo modo di scrivere dei post in questo ambito e anche, molto altro, sulle plastiche. Ti ringraziamo per il tuo prezioso contributo e per aver condiviso una tua riflessione.

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