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Le Pm10 non scendono. Covid-19 e allevamenti intensivi c’entrano?

Al Polo Nord si frantuma la calotta polare. Si ha l’impressione di non essere parte dei danni sul cambiamento climatico. Non si ha la percezione del pericolo. L’effetto farfalla, definito in fisica, indica come il delicato volo di una farfalla possa generare un uragano a distanza di km. Si deve riconsiderare il nostro rapporto col pianeta. Oggi, il dibattito fra gli scienziati prova a capire quanto l’ambiente inquinato permetta al Covid-19 di prosperare. E l’analisi parte dagli allevamenti di bestiame. Si cerca di capire se è possibile e come mai, nelle aree a maggior presenza di allevamenti intensivi, il virus si sia insediato con più ferocia.

Siamo anche noi che possiamo ammalare gli animali. E’ possibile passarsi i vari agent patogeni facendo salto di specie, cioè passando per esempio da animale a uomo e viceversa. Un nostro raffreddore può infettare un allevamento intensivo di suini. È questione di bio-sicurezza. I numeri del mercato e le richieste di carne sono troppo grandi e in crescita. Per gli animali il pascolo è una rara eccezione. Con 1000 suini basta 1 persona. Uno dei problemi di questi allevamenti intensivi è la produzione eccessiva di ammoniaca che si sviluppa e inquina l’aria con le sue alte concentrazioni. Nelle fasi di ingrasso poi, si mangia di più e la puzza dei liquami diventa più pesante. Questo materiale viene poi stoccato in vasche e smaltito in certi periodi dell’anno.

La zootecnia dei piccoli allevamenti è passata ad allevamenti intensivi in tutta la pianura padana. Una volta il letame era pregiato, in un ciclo chiuso e virtuoso che oggi chiameremmo circular economy. Si tratta dei più moderni modelli di economia circolare dove gli scarti della produzione tornano in circolo nel sistema e vengono riutilizzati. Qui invece, può capitare che il liquame eccessivo venga rilasciato nell’ambiente e nei canali di bonifica che poi scaricano nel fiume Po’. I liquami restano a contatto con l’aria per un anno e formano le PM10 coi danni sulla salute umana di cui tutti sentiamo parlare.

Indici PM10 e PM2.5

L’Indice PM viene usato per misurare la qualità dell’aria e indica la quantità di materia particolata (si misura in mg/m-3). Rappresenta il diametro delle particelle sospese nell’aria e in base a questa dimensione, si dividono in PM10 o le più piccole e più dannose PM2.5 che arrivano nella parte bassa dei polmoni.

Per quanto riguarda i valori limite fissati in termini di particelle, abbiamo:

  • PM10 particelle inalabili: 20-30mg/m-3
  • PM2.5 particelle respirabili: 10-20mg/m-3

Relazione fra PM e Covid-19

I ricercatori nel mondo studiano con interesse i dati sui tassi di inquinamento e la diffusione di Covid-19. Nelle zone con più allevamenti intensivi, più deiezioni producono più ammoniaca che produce più PM10. E questo potrebbe favorire la diffusione del virus. Il dato osservato è che in uno studio fatto fra il 2012 e il 2013 su particelle PM2.5 analizzate dalle università si è osservata una quota del 4% portatore di virus, come valore costante. A pubblicare i dati sono state le università di San Diego (USA) e Pechino (CIBA). Il particolato dell’aria diffonde ovunque. Autorevoli studi americani, anche dell’Università di Harvard, hanno osservato che in 3080 contee, il tasso di mortalità da virus era maggiore del 15% nelle zone con più allevamenti intensivi. E dove ci sono più sforamenti dei livelli limite di PM si hanno più contagi. Oggi sono quasi 4 milioni i contagi da virus Covid-19 identificati e certi. Ma c’è da ricordare che, così come i decessi, i dati potrebbero dover essere moltiplicati per 10, fra asintomatici e persone non sottoposte a tamponi ed analisi. Anche l’associazione dei medici per l’ambiente (SIMA) studia questi dati e cerca di capire se esiste un legame. Secondo la FAO il bestiame è causa del 51% delle emissioni di CO2 e del Cambiamento climatico.

In generale, i liquami del sistema intensivo in alte concentrazioni sono un rifiuto da smaltire. A metà febbraio inizia lo spargimento di liquame, ma se ce ne fosse troppo, alcuni allevatori potrebbero pensare di scaricarlo abusivamente nei reflui, nei fossi. Alcuni lo potrebbero buttare sul mais, più volte del dovuto di nascosto. I controlli ci sono ma è difficile essere beccati sul fatto.

Esiste una direttiva per il controllo dei nitrati che coi liquami aumentano. Perché sia i nitrati che le PM10 possono influire sulla salute ed essere molto dannose. I limiti di liquami permessi sono di 170 kg per ettaro ma molte zone del nord ne hanno 500 kg per ettaro. E si generano aree troppo inquinate. Queste aree sono state divise in base alla permeabilità dei suoli. Si monitora la qualità delle falde acquifere perché quando piove, i liquami e i fertilizzati buttati a terra percolano e inquinano le falde che dai fiumi arrivano in mare aperto.

ARPA sostiene che l’85% dell’ammoniaca rilevata è prodotta dagli allevamenti intensivi. E si forma PM10. In inverno c’è la sospensione di 2 mesi sullo spargimento di liquami. C’è chi studia i dati e valuta se gli spargimenti di quest’anno nel mese di febbraio possano aver contribuito e agevolato la diffusione e la persistenza di Covid-19 nelle aree lombarde e della pianura padana in cui il virus ha trovato un ambiente ideale dove insediarti e prosperare con le conseguenze che stiamo vivendo. 

Tutto questo contamina e danneggia sia l’ambiente che la salute umana, perché tutto sul pianeta è collegato in un sottile equilibrio che interagisce di continuo. Ogni squilibrio perturba in modo consistente e il danno genera problemi che, più si aspetta, e più sarà difficile riparare.

Ricordiamo che gli allevamenti intensivi e le produzioni industriali sono la risposta alla domanda eccessiva di carni, generi alimentari e beni materiali di ogni tipo che accumuliamo nelle nostre abitazioni, in modo a volte esagerato e insensato. Forse se pensassimo al costo in termini di risorse prima di acquistare l’ennesimo libro mai letto, perché non ci sono solo gli alberi tagliati, ci sono le colle chimiche, gli sbiancamenti dell’industria della carta, i costi della benzina e dei mezzi per la distribuzione, e tutto un mondo dietro; prima di comprare l’ennesimo jeans indossato solo un paio di volte, perché i miseri euro pagati di tasca propria non sono il prezzo che paga il pianeta per il giro non conosciuto che sta dietro alla produzione. Consumismo e spreco alimentare vanno in parallelo. Non ne abbiamo forse la percezione, ma le regole del gioco, le stabiliamo noi.

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